Dalla Premier League
in Galles al ritorno nella sua Campania. Non è il percorso fatto da
un calciatore che non è riuscito a sfondare oltremanica, ma quello
di un giovane addetto ai lavori che sta costruendo la sua carriera
nel mondo del calcio. Stiamo parlando di Danilo
Stavola, napoletano doc con in tasca il
patentino da osservatore rilasciatogli dalla FIGC. Dopo aver
ricoperto per circa due anni il ruolo di osservatore per l’Italia
per l’Academy Under 21 dello Swansea
e di consulente tecnico per la squadra di Garry Monk sempre per
l’Italia, questa estate il ventottenne (il suo compleanno è
proprio oggi, auguri!) ha iniziato a lavorare con l’Aversa
Normanna, che solo due anni fa militava
in Lega Pro e oggi gioca in Serie D nella parte alta della classifica
del Girone I. Ho intervistato in esclusiva per Il
Solito Calcio il talent scout, a
cui non mancano le prospettive future ma neanche l’esperienza
nonostante l’età.
Dallo Swansea all'Aversa Normanna:
cosa è cambiato per Danilo Stavola?
“A dire il
vero, non è cambiato molto per me. Ieri come oggi
faccio del calcio e della visione quotidiana di partite il mio must
quotidiano. Non lo vivo come un passo indietro.
Ad Aversa ho la fortuna di
lavorare con una società seria, sana, con un progetto giovane e,
soprattutto, insieme a due
uomini umanamente e professionalmente straordinari come il direttore
sportivo Orabona e il mister
Chianese. Credo di poter imparare tanto da questa esperienza”.
Che ricordo conservi
della tua avventura come osservatore degli Swans?
“E' stata una fantastica avventura
e ringrazierò sempre Mister Monk
per avermi dato questa opportunità.
Purtroppo Garry
è andato via dallo Swansea e
la società ha cambiato l'assetto manageriale.
Oggi, tra le persone con cui ho condiviso questa esperienza, sono in poche
ad essere ancora lì. Ma un pezzo del mio
cuore sarà sempre jack army”.
Lavorativamente parlando, cosa ti
ha arricchito di questa esperienza?
“Ho imparato a lavorare in modo
più pratico, snello e diretto. Mi spiego.
Lì mi venivano dati compiti
precisi. Dovevo cercare giocatori
di una certa età con determinate caratteristiche tecniche e fisiche.
Ed esigevano reazioni brevi e concise, senza troppe
chiacchiere”.
Che differenze hai riscontrato nel
modo di fare scouting tra Italia e Regno Unito?
“Devo dire che da quando ho avuto
modo di apprendere ed applicare quotidianamente il metodo del ‘ruolo
tattico del Professor
Marco Zunino le differenze si sono assottigliate. Di certo ci sono
differenze anche di preferenze. In Gran
Bretagna prediligono calciatori più fisici
e strutturati, anche a scapito della tecnica. In
Italia, invece,
prediligiamo ancora calciatori brevilinei e bravi tecnicamente”.
In che
cosa gli addetti ai lavori italiani dovrebbero imparare da quelli
britannici?
“Ti rispondo con tre parole che
racchiudono l'essenza del mio amore viscerale per il calcio inglese
ed il british lifestyle: professionalità,
competenza, meritocrazia”.
In che modo il
nostro campionato può provare a colmare il gap con la
Premier League?
“Ripetersi sembra banale,
ma finchè non capiremo
l'importanza di dotarci di centri sportivi,
oltre che di stadi, di
proprietà e finchè non ci concentreremo su allenamenti più
intensi, non andremo
lontano”.
Ma come
mai i calciatori britannici fanno così
tanta fatica ad emergere e
affermarsi in Serie A?
“Bella domanda. Me lo sono chiesto
tante volte anche io. Credo che l'esasperato tatticismo del calcio
italiano li metta in difficoltà. Ma fisicamente e
tecnicamente, non hanno nulla
da invidiare ai tanti stranieri che popolano il nostro campionato”.
Luca Iannone
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