Cosa ti è piaciuto e cosa non ti è
piaciuto della Juve vista contro il Bayern?
«Il parterre del 'G8' del calcio
targato Champions League credo abbia decretato la giusta posizione
della Juventus, tra le prime otto d'Europa. Credo che la
qualificazione si sia decisa sopratutto nella partita di andata, dove
i bianconeri avevano peccato con errori grossolani in difesa. Nel
match di ritorno la Juve mi è piaciuta parecchio, ha affrontato una
grande partita con lo spirito agonistico di una grande squadra. Ma
bisogna dare a Cesare quel che è di Cesare. Il Bayern Monaco ha
dimostrato di essere una squadra più completa, più competitiva e
più all'altezza di essere ad un passo dalla finale di Champions. Non
mi è piaciuto non vedere in campo Vidal e Lichtsteiner, le ali
ideali per poter spiccare il volo; senza ali, come si sa, non si può
volare. Inoltre, se proprio devo dirla tutta, non mi è piaciuto
neanche non vedere un certo Alessandro Del Piero ed il suo numero 10
in una competizione quale è la Champions. Ma questa è un'altra
storia...».
I tedeschi sono stati senza dubbio
superiori, ma soprattutto sotto che punto di vista?
«Oggi si arriva in finale di
Champions non solo grazie a un perfetto aspetto tecnico-tattico. Le
società costruite per vincere, lo fanno quando il club mostra dei
fatturati altisonanti che ti permettono grandi investimenti. Bayern,
Real, Barcellona e PSG viaggiano sui 400 milioni di euro di ricavi
delle vendite. Il calcio Italiano, invece, è pressoché fermo.
Questo aspetto dev'essere chiaro e trasparente per tutti. Poi il
Bayern è stato superiore ed è forte, non solo nella qualità dei
singoli, ma ha un collettivo di primissimo livello; anche pressati,
riescono a saltare l'uomo e a creare la superiorità numerica.
Quindi, la loro superiorità è stata espressa da un grande
collettivo e da un management fattivamente europeo».
Come si può colmare il gap tra la
Juve e le big europee come il Bayern?
«La Juventus è sulla buona strada
per poter raggiungere i livelli di prestazione delle 3-4 big
d'Europa. Rimango sempre dell'idea che è una compagine costruita in
stile 'made in Europe'. I quarti di finale erano l'obiettivo a cui il
club ambiva dopo il ritorno nella massima competizione europea. Ora
il gap potrà colmarsi cercando di imitare il know-how, secondo i
criteri che sopra menzionavo, dei grandi competitori. Quindi grandi
plannings di marketing internazionale, 'branding' operativi a livello
mondiale, comunicazione altrettanto internazionale per poter alzar il
livello dei fatturati e, conseguentemente, investimenti da top club».
In ottica mercato, oltre a Llorente
di cosa ha bisogno questa squadra?
«A prescindere dal capitolo
Llorente, sono assolutamente d'accordo con quanto sostiene l'amico e
validissimo mister Antonio Conte: 'Se hai i soldi, prendi, compri e
vinci. Diversamente ci vuole pazienza'. Con questo voglio dire che
oggi per vincere in Europa non sono sufficienti solo un paio di
innesti, ma ci vogliono, appunto, investimenti proporzionali
all'obiettivo che si vuole raggiungere. Ma la Juve è sulla buona
strada per arrivar in alto anche in Europa».
A questo punto, tu che lavori per il
Real, tiferai per la squadra di Mourinho? La vedi favorita per la
vittoria della Champions?
«Difficile non dire che il Real mi
è entrato nel cuore, avverto la familiarità del grande club. Ecco,
lavorando lì, si respira davvero un'aria di chi è proiettato -
quasi obbligato - a vincere. Ero in Turchia con i blancos ed il loro
'team spirit', sul 3-1 per il Galatasaray, è stata l'arma vincente
per non far precipitare il risultato. Credo che il Real alzerà la
Coppa e prevedo una finale proprio contro il Bayern Monaco. Hala
Madrid!».
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