Campagna acquisti a parte, a tenere
vigili i tifosi del Bari quest'estate ci ha pensato la lunga
trattativa per la cessione della società. Ma i Matarrese non sono
riusciti a trovare l'accordo con Paolo Montemurro, imprenditore
barese interessato all'acquisizione del club. Almeno per il momento.
Sì perché non è ancora calato definitivamente il sipario, come ci
ha raccontato Luigi Massimo Pavanello, intervistato in
esclusiva. Pavanello,
consulente di mercato per un importante fondo di investimento, è un
esperto in materia e ha seguito passo per passo la vicenda.
Signor Pavanello, perché non è
andata a buon fine la negoziazione tra i Matarrese e Montemurro?
«Quando ho conosciuto Paolo
Montemurro l'ho subito tenuto in grande considerazione perché è un
imprenditore con idee molto chiare che voleva portare avanti, insieme
al suo socio Luigi Rapullino. Nei mesi scorsi il contatto è stato
quasi giornaliero e ci si confrontava molto sulla questione;
evidentemente le problematiche incontrate lungo il percorso non erano
una normalità per loro, mentre per me rafforzavano la consapevolezza
che in Italia questo tipo di trattative riserva molte insidie. La
situazione non è mai chiara e trasparente come accade, per esempio,
in Inghilterra e Germania dove il passaggio di proprietà è un
intervento di maggior valore. La trattativa è andata avanti per
diverso tempo e poi è venuta meno perché, oltre alla situazione in
rosso del bilancio, è emersa una situazione debitoria nei confronti
dell'Agenzia delle Entrate. Ciò condiziona molto la fase di
acquisizione e non è un cavillo da poco, anzi è un nodo abbastanza
importante. In realtà bisognerebbe capire se i Matarrese stiano
cercando investitori che si affianchino a loro o se vogliano cedere
il club che guidano da una vita».
Dunque la pista non è tramontata
del tutto?
«La speranza è che Montemurro
possa riuscire, tramite una serie di sinergie, a riaprire un tavolo
che sia costruttivo e molto chiaro, ma anche rapido. Perché
l'acquisizione dovrebbe concretizzarsi al massimo entro i primi di
ottobre, altrimenti sarebbe inutile continuare a riscaldare questa
minestra. Ma la possibilità è ancora aperta. Paolo è una persona
molto disponibile e aperta al dialogo e, essendo barese e vivendo la
città, respira un'aria favorevole a lui. Mi sono permesso di
consigliargli di insistere, perché Bari, oltre ad essere una società
di grande tradizione, è una delle realtà più grandi del Sud
insieme a Napoli e Palermo. Tutto ciò rappresenta una possibilità
di sviluppo sia per la città sia per l'AS Bari, che merita una
categoria superiore per tifoseria, bacino di utenza, e dimensione
della città. Purtroppo, però, non è facile».
A questo proposito, qual è la
differenza tra l'Italia ed altri paesi europei?
«La grande differenza è dovuta
sostanzialmente al fatto che i nostri club non hanno uno stadio di
proprietà, eccezion fatta per la Juventus e per l'Udinese che presto
lo avrà. Ma le società italiane, tolte le big, sono prive di un
asset. C'è una forbice molto ampia tra i primi top club e quelli che
lottano dalla sesta posizione in giù; la Serie A paga il fatto che,
oltre ai diritti televisivi che sono la linfa vitale per tutti i
club, tutte le altre voci in entrata, come stadio, marketing,
merchandising e settore commerciale, non hanno paragone rispetto ad
altri paesi. Questo è frutto anche di un processo culturale più
sviluppato. Ci sono margini di miglioramento per questi valori, ma ad
oggi i club italiani sono molto sbilanciati».
Allora cosa si può fare per
migliorare questa situazione?
«L'idea è quella che gli impianti
diventino la priorità principale delle società. Qui deve
intervenire la politica e lo Stato deve fare la sua parte con una
legge seria che permetta di fare programmi a lungo termine. Poi, come
avviene da altre parti, i club devono avere le loro “case” a
partire dai campi e dalla sede ufficiale fino a tutte quelle attività
annesse che creano aggregazione e un indirizzo comune».
Quindi bisogna seguire la via
indicata da Juve e Udinese.
«Sì, bisogna seguire gli esempi di
Juventus e Udinese. La gestione di quest'ultima, non solo dal punto
di vista tecnico, deve essere presa come faro. Udine non è una città
da grandi numeri come bacino di utenza, ma l'Udinese sta cercando
tifosi in altre zone; la Slovenia è vicina a loro e non è detto che
non possano fidelizzare tifosi in quell'area. Le squadre inglesi
hanno molto più seguito e i numeri lo dimostrano. Ad esempio, prima
dell'estate il Fulham è stato venduto a cifre impensabili e non è
uno dei primi club di Premier League. Mentre le società italiane
sono in vendita a cifre basse, basti pensare al Bologna. Con una
città così prestigiosa ed importante viene difficile pensare che
non ci siano nel tessuto cittadino degli imprenditori
interessati...».
Lei ha citato due club come esempio,
ma se invece dovesse citare due persone?
«Recentemente ho avuto modo di
conoscere Andrea Abodi. Il presidente della Lega Serie B ha idee
estremamente chiare e soprattutto la capacità per dare rinnovamento
al campionato di B, dimostrandolo nelle ultime stagioni. Il problema
è che, guardando negli ultimi tabellini il numero degli spettatori,
c'è da mettersi le mani nei capelli. E vedere gli stadi vuoti è una
delle cose più brutte. Poi citerei Maurizio Zamparini, con il quale
ho un ottimo rapporto e che ritengo un imprenditore molto capace.
Purtroppo sta incontrando delle difficoltà con la questione del
nuovo stadio per problemi burocratici, ma Palermo merita di essere
una piazza da Serie A».
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