Con il passare degli anni e delle
sessioni di calciomercato, aumentano sempre di più i rimpianti dei
direttori sportivi italiani per essersi lasciati sfuggire giocatori,
magari giovani, di qualità a prezzi abbordabili, poi finiti in qualche
club estero. Uno di questi potrebbe essere Vegard Forren
che, dopo essere stato offerto in Italia per diversi anni, è passato al
Southampton lo scorso gennaio. A proporlo alle società di Serie A, in
qualità di intermediario, era stato l'agente FIFA Edoardo Giusti. Il titolare e fondatore della GGXX, intervenuto in esclusiva ai miei microfoni,
ha raccontato tutti i retroscena riguardanti il difensore norvegese e
non solo, parlando di altri due calciatori da lui proposti ai club
italiani, che però non gli hanno voluto dare ascolto.
Possiamo svelare tutta la verità sul mancato arrivo di Forren in Italia?
“Il mio amico e collega Gulli
Tomasson, islandese ma che abita sede in Danimarca, lo scoprì nel 2008
quando giocava nelle serie dilettanti norvegesi. Su suggerimento dello
stesso Tomasson il Molde lo prese e, al contempo, Tomasson lo pose alla
nostra attenzione. Immediatamente notammo le qualità espresse in
campionato con la Norvegia under 21. Tra il 2008 e il 2009 iniziammo a
lavorare per provare a portarlo in Italia e, proprio in quel periodo,
Fabio Paratici (a quell'epoca alla Sampdoria, ndr) si dimostrò
uno dei suoi più grandi estimatori. Così il club blucerchiato si
interessò al giocatore ma poi fece altre scelte di mercato e lo stesso
accadde con il Chievo. Passata l'estate del 2009, Forren giocava in
pianta stabile al Molde continuando a crescere insieme alla squadra, che
nel 2011 e nel 2012 si aggiudicò il primato nella Tippeligaen (la massima serie del campionato norvegese, ndr).
Nell'autunno del 2011 Zanzi lo fece seguire e ci fornì una relazione
positiva. Da una parte c'era il Bologna che aveva avanzato il desiderio
di prelevarlo con la formula del prestito oneroso con diritto di
riscatto, dall'altra il Molde che invece era rigido sul fatto di volerlo
cedere soltanto a titolo definitivo. Questa fu la causa principale del
mancato a affare. Noi, fin dal 2008, ogni estate abbiamo periodicamente
riproposto il giocatore in Italia ma non è stato minimamente calcolato e
da qualcuno è stato considerato troppo lento per la Serie A. I
dirigenti italiani lo hanno seguito, monitorato e visto la sua crescita
però, dopo una prima fase di interessamenti, c'è stata fase di stallo.
Nel 2010 e nel 2011 poteva essere acquistato per un milione di euro,
mentre l'estate scorsa bastava un milione e mezzo; a gennaio, invece, il
Southampton ha dovuto sborsare quasi 5 milioni di euro”.
Forse le sue caratteristiche sono più adatte alla Premier che al nostro campionato?
“Grazie alle ultime due stagioni
disputate in maniera eccellente, si è guadagnato il posto da titolare
nella Norvegia e ha acquisito un valore ancora più alto. Detto questo,
credo che si tratta più di un discorso ambientale. Nella mentalità del
calciatore scandinavo, l'Inghilterra rappresenta il top e la Premier
League è considerato il campionato più bello al mondo. Forren, per
quelle che sono le sue caratteristiche, si sposerebbe perfettamente
anche con un calcio più tecnico come quello italiano. Esce palla al
piede, è elegante nei movimenti e bravo ad impostare, a tutto questo
abbina forza fisica e senso della posizione. E' destinato, sempre che la
fortuna lo assista, ad affermarsi ancora di più e a diventare uno dei
migliori difensori europei; ha tutte le qualità per poterlo diventare.
Ripeto, era più che pronto per il calcio italiano”.
Quale potrebbe essere un altro caso simile a questo appena citato?
“Sicuramente quello rappresentato da
Joel Campbell è il più eclatante. Prima che vari avvoltoi si
avvicinassero, alla fine del 2010 mi fu segnalato questo ragazzo da un
collaboratore e amico fidato in Costa Rica. Possedeva qualità importanti
ma era ancora sconosciuto in Europa e, guardando alcuni video,
intravidi in lui delle doti impressionati, tanto da paragonarlo a Samuel
Eto'o. Da quel momento cominciai a lavorarci in prima persona. Poteva
essere preso per appena 500mila euro e c'era anche la possibilità di
portarlo in Italia per un periodo di prova. Addirittura, da una società
mi dissero di stare attento a proporre giocatori del Costa Rica perché
poteva pesare sulla mia reputazione. Dopo l'esordio con gol con la
maglia della sua nazionale qualcosa si era mosso, ma soltanto alcune
richieste di informazioni e niente di più. Nell'agosto 2011 lo prese
l'Arsenal, che lo mandò subito in prestito al Lorient e, l'estate
scorsa, al Betis. Oggi continua a fare benissimo con la il Costa Rica,
ma non dimentichiamoci che ha vent'anni e può ancora crescere. Peccato
perché si sarebbe potuto prendere a cifre basse, anche se ci sarebbe
voluto un periodo di ambientamento”.
Andiamo avanti: un terzo caso di questo genere?
“Citerei Emmanuel Emenike, attuale
centravanti dello Spartak Mosca. Nel 2010 giocava nel Karabukspor,
allora in serie B turca, e notammo le sue qualità attraverso il suo
procuratore. Nel suo contratto c'era una clausola rescissoria di soli
600mila euro. Mi ricordo che preparai alcuni dvd e feci un certo tipo di
lavoro per poi proporlo in Italia. Nel 2011 si trasferì al Fenerbahce e
la scorsa estate è stato acquistato dallo Spartak. Sta fornendo ottime
prestazioni anche in Champions League e adesso vale circa 12 milioni di
euro. E pensare che sarebbe potuto approdare in Serie A per meno di un
milione...”.
Proviamo a dare una risposta a questi mancati arrivi. Come mai i ds italiani non hanno puntato su questi giocatori?
“Adesso la nostra agenzia è un po'
più conosciuta e forse una delle risposte risiede nel fatto che allora
ero più giovane e, pur lavorando seriamente, ero meno conosciuto. Però,
se posso permettermi, il mio consiglio ai dirigenti di Serie A è quello
di fidarsi sempre dei loro occhi e quello di essere dei manager; al
giorno d'oggi non si può valutare un giocatore in base alla persona che
lo propone. Vedo che ci si affida agli agenti più noti, ma bisognerebbe
acquistare i giocatori per il loro valore e non per le etichette. Nel
calcio italiano c'è mancanza di meritocrazia e l'esigenza tecnica viene
messa in secondo piano rispetto alle esigenze 'politiche'. Invece
sarebbe necessaria una gestione manageriale in tutti gli aspetti, anche
nella scelta dei giocatori. Ci vogliono analisi e valutazioni che
prescindano da qualsiasi altro discorso, all'estero funziona così e i
risultati si vedono”.
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