Mentre continua a marciare verso lo scudetto senza trovare ostacoli, la Juventus
è riuscita a qualificarsi ai quarti di Champions League come unica
italiana presente nella massima competizione continentale. Adesso il
sogno è quello di entrare il double, un po’ come fece la Juve di
Giovanni Trapattoni nella stagione 1976-77, quando conquistò sia lo
scudetto che la Coppa UEFA. Di quella squadra faceva parte un giovane Alberto Marchetti, che ho intervistato in esclusiva per parlare dei bianconeri di Conte ma non solo.
Questa Juve può imitare quella di cui lei faceva parte, trionfando sia in Italia che in Europa?
«Penso
di sì. E’ sempre difficile fare paragoni tra generazione diverse e
stili di gioco diversi, ma la Juventus di oggi può farsi valere. Questa
squadra non ha niente da invidiare a quella in cui ho avuto la fortuna
di giocare o a quella di Platini. Ha la possibilità di vincere la
Champions League, così come abbiamo visto in passato trionfare agli
Europei nazionali poco blasonate come Danimarca e Grecia. La Juventus
sta dimostrando tutto il suo valore e, anche se davanti ha degli
squadroni magari più forti tecnicamente, ha determinazione, fame ed è
forte in tutti i reparti. E poi un giocatore come Pirlo nessun
allenatore bianconero lo hai mai avuto; è indiscutibilmente il giocatore
più forte del mondo nel suo ruolo».
In quella squadra, però, non fu facile per lei trovare posto davanti a gente del calibro di Furino, Benetti e Tardelli...
«Fu
comunque un’esperienza bellissima. Ho fatto la mia parte, totalizzando
sei presenze in campionato e tre presenze in Coppa UEFA. Era la Juventus
di Trapattoni che già l’anno precedente vinse lo scudetto e ci riuscì
anche in quella stagione, dopo un testa a testa con il Torino andato
avanti per tutto il girone di ritorno. Alla fine avevamo 51 punti in
classifica contro i 50 dei granata».
E' andata meglio a Cagliari dove Riva, allora dirigente, la definì il nuovo Benetti.
«Io
però non mi vedevo nel ruolo di Benetti. Lui è stato una mezzala, un
centrocampista non di costruzione ma di corsa, mentre io partecipavo
allo sviluppo dell'azione ed ero più che altro un regista. Venni
utilizzato come merce di scambio nell'affare che portò Virdis in
bianconero, ma a Cagliari mi tolsi le mie soddisfazioni, venendo anche
convocato nella Nazionale olimpica. Non vi nascondo che nel corso della
mia militanza in rossoblu si interessarono a me grandi squadre come il
Milan, il Torino di Luciano Moggi e il Genoa che in quel periodo stava
andando molto bene».
A trentatré anni lei tornò a Novara, dove poi ha iniziato anche la sua seconda carriera.
«Con
la maglia azzurra ho giocato gli ultime tre anni in Serie C e tutt’ora
vivo qui a Novara. Conclusa la mia carriera da calciatore, ho lavorato
come allenatore sia nel settore giovanile che in prima squadra, poi
anche come osservatore».
Quest'anno
ha allenato la formazione Juniores del San Marco Avenza fino a
febbraio, quando è stato esonerato. Che esperienza è stata?
«Nelle
serie dilettantistiche c’è una mentalità diversa. Per fare l’allenatore
nel settore giovanile delle squadre dilettanti non basta insegnare,
perché a 17-18 anni i giovani hanno già la loro testa. Con il San Marco
Avenza si è venuta a creare una situazione negativa e tutto si è
concluso in maniera rocambolesca. Insomma, mai più dilettanti».
Quindi dove potremmo rivederla nel prossimo futuro?
«Mi
piacerebbe trovare una società professionistica che mi desse
l’opportunità di lavorare come osservatore e di scoprire nuovi talenti.
Ho lavorato anche all'Inter come osservatore per il settore giovanile,
però questo non mi gratificava molto. Mi sentirei più agio ad osservare i
grandi, perché per i giovani bisogna avere degli occhi speciali. Il
lavoro più adatto a me sarebbe quello di trovare giocatori per la prima
squadra. In Sud America ci sono ormai tanti osservatori, ma i buoni
giocatori si possono trovare anche da altre parti come nell'Est Europa.
Le società più blasonate vanno a caccia di argentini e brasiliani, ma
nei paesi della ex Jugoslavia, ad esempio, ci sono calciatori meno
costosi che possono rivelarsi utili alla causa, perché hanno fame e
voglia di mettersi in mostra. Tornerei anche a fare l’allenatore in un
settore giovanile, ma solamente di una squadra professionistica e dalla
categoria Allievi o più giovani, in modo da poter instradarli quando
incominciamo a imparare tattiche e tipo preparazione fisica, così da
permettergli di compiere il salto di qualità nella Primavera».
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