Seppur solo nel settore giovanile e senza mai esordire con la prima squadra, sei anni tra le fila del Milan non si dimenticano facilmente. E non li può dimenticare facilmente Andrea Rabito,
che dopo l'esperienza in rossonero ha vestito ben nove maglie diverse
in dodici anni di carriera. Tra quelle indossate anche quella della Sampdoria, nella stagione 2002-2003 quando fu uno dei protagonisti della risalita in Serie A. Ho intervistato in esclusiva l'attaccante, attualmente svincolato, in
vista di domenica sera, quando la squadra di Allegri e quella di Rossi
si troveranno di fronte tra le mura del Ferraris.
Ormai è passato diverso tempo, ma cosa ti porti dietro di quei sei anni al Milan?
«E' stata sicuramente una grande
esperienza formativa sotto tutti punti di vista, non solo calcistico ma
anche umano. Il club di via Turati, prelevandomi all'età di 14 anni, mi
ha dato la possibilità di apprendere tanto e di formarmi come
calciatore. Ho anche avuto modo di stare a stretto contatto con campioni
del calibro di Boban, Leonardo, Weah che sono passati in quegli anni.
Non avrei mai pensato di poter entrare in contatto con una realtà del
genere né di vivere un'esperienza simile. Inoltre ho potuto apprezzare
tutto il contesto di Milanello, un centro sportivo all'avanguardia e una
struttura che, dal punto di vista organizzativo, ha rappresentato un
esempio per altre squadre che hanno preso spunto».
Nel 2003 conquistasti la seconda promozione della tua carriera, con la casacca blucerchiata.
«Quella di Genova è stata
un'esperienza altrattanto fantastica. Venivo da un'annata al Modena con
cui ottenni la promozione in A e, attraverso il Milan che mi aveva
ceduto in comproprietà, mi venne data questa chance. Fu l'anno in cui la
Samp passò alla famiglia Garrone, che fece fin da subito investimenti
importanti per riportare la squadra nel calcio che conta. Costruirono un
gruppo molto forte e raggiungemmo il traguardo prefissato, grazie anche
al sostegno di una tifoseria fantastica. Ho apprezzato molto il modo di
fare tifo a Marassi e ho quel percepito calore che in altre piazze,
invece, lascia spazio a malcontenti e malumori. Il tifoso doriano, mai
sopra le righe, è un esempio per tutte le altre squadre».
Con Delio Rossi è stato
reintegrato in rosa Palombo, fra l'altro tuo ex compagno. Sarà lui il
valore aggiunto per il girone di ritorno?
«Può rappresentare sicuramente il
valore aggiunto per la seconda parte di stagione. Sono rimasto sorpreso
quando è stato messo ai margini, ma si dovrebbe essere all'interno per
capire i motivi della sua esclusione. E' chiaro che dal punto di vista
esperienza può dare qualcosa in più. Lui è da tanti anni a Genova e, al
di là dell'aspetto economico, ha sposato il progetto già anni fa. A
gennaio scorso ha avuto l'opportunità di andare via, ma se è ritornato
un motivo ci sarà. A mio parere, è un giocatore imprescindibile, al di
là dei contratti e dei soldi. Mi ricordo le sue lacrime dopo la
retrocessione in B e ciò significa tanto in un mondo in cui certi valori
sono stati smarriti».
Domenica arriva il Milan. Dopo aver battuto in campioni d'Italia tutto è possibile?
«E' una di quelle partite sempre
difficile da pronosticare. Nonostante il campionato sia già ripreso da
una settimana, la pausa invernale può ancora pesare e può rendere
faticosa la ripresa del ritmo; nelle gare di questo periodo dell'anno,
l'aspetto fisico è predominante. Ultimamente ho visto un Milan in
ripresa e un El Shaarawy che continua a fare la differenza, gli occhi
saranno puntati tutti su di lui. Ma la Sampdoria ha tutte le carte in
regola per mettere in difficoltà gli avversari. Con l'arrivo di Rossi,
qualcosa è cambiato nello spirito della squadra e c'è una vitalità nuova
rispetto a prima. Poi i blucerchiati hanno ottenuto un risultato
importante a Torino, quindi perché no? La Samp può mettere in difficoltà
anche il Milan».
L'ultima domanda su El Shaarawy, con cui hai giocato a Padova. Come si fa a fermarlo?
«Bisogna evitare di concedergli lo
spazio per partire in velocità. Togliere tempo e spazio a un giocatore
così è fondamentale per provare ad arginarlo. Durante una partita non si
può stare attenti per novanta minuti ad un solo giocatore se no si va a
rischiare, però non bisogna dargli campo per correre e bisogna farsi
puntare, perché possiede caratteristiche tali da poter saltare
l'avversario in qualsiasi momento. Stephan ha acquisito quella
consapevolezza nei suoi mezzi che diventa veramente difficile da
marcare. Sta vivendo uno stato di grazia e trasforma in oro tutto ciò
che tocca».
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