6 luglio 2012

Giramondo Dellacasa: "Dopo Svizzera, Ungheria e Algeria, voglio tornare a casa"

Forse il suo nome non sarà noto ai più, ma Gianni Dellacasa è senza dubbio uno degli allenatori italiani con un bagaglio di esperienza più importante a livello europeo e non solo. Dopo aver allenato le giovanili del Torino, ha allenato per molti anni in Svizzera con una parentesi in Serie B alla guida della Cremonese. Poi in Ungheria e addirittura in Algeria, ma adesso è arrivato il momento di rimpatriare. Mister Dellacasa ha concesso una lunga ed interessante intervista ai miei microfoni.

Mister Dellacasa, come si spiega che un tecnico con il suo curriculum sia ancora senza squadra?
La risposta è molto semplice: il calcio è in evoluzione, sta cambiando e non si fanno investimenti sugli allenatori. Dopo la mia ultima avventura in Algeria, ho ricevuto diverse offerte dal Nord Africa che però ho deciso di rifiutare. Perché? L'esperienza in Algeria è stata interessante dal punto di vista sportivo e ho avuto anche l'occasione di allenare ben otto nazionali algerini; ma sotto tutti gli altri profili è stata un'esperienza negativa, ma lì hanno una mentalità molto particolare”.

A distanza di sei anni, le piacerebbe tornare ad allenare in Italia?
Sarei contento di riproporre in Italia questo mio bagaglio di esperienza. Mi piacerebbe molto e spero che si riesca a perfezionare qualcosa con un club serio. Se ci fosse un programma ambizioso accetterei anche di allenare in Lega Pro, altrimenti per navigare in acque tranquille potrebbe essere interessante solamente con progetto serio che punti molto sui giovani. Vedremo, bisogna sedersi al tavolo con i dirigenti per tracciare una linea comune”.

Amarcord: le stagioni 1995/96 e 1996/97 al Torino furono da incorniciare...
Sì e mi sono trovato benissimo, con me al Toro sono cresciuti giocatori che tutt'oggi si ritrovano in Serie A. Con gli Allievi Nazionali fu un anno incredibile; al di là della cavalcata a livello di risultati, i giovani mostrarono grande capacità di trasformarsi sotto il profilo del gioco in una sola stagione. Quando allenavo la Primavera mi dovetti confrontare con le esigenze della prima squadra; c'era un continuo travaso di giocatori e questo creò un gioco meno spumeggiante ma più tattico. Arrivammo fino in finale al Torneo di Viareggio e perdemmo 1-0 contro il Bari, ma fu tutto molto bello”.

In Svizzera ha allenato ben sei squadre diverse, come mai ha scelto un campionato così poco blasonato?
Dopo quei due anni al Torino andai ad allenare l'Ivrea in Serie D, un'altra esperienza che mi ha lasciato il segno a livello umano; ho conosciuto un presidente e dei dirigenti fantastici. Ricordo che quando ci accordammo sul contratto fu inserito un premio per la salvezza, io dissi che avrei voluto il premio raddoppiato in caso di vittoria del campionato. A sei giornate dalla fine eravamo secondi in classifica a soli tre punti dalla Sanremese. Poi arrivammo quarti, ma ai play-off non partecipai perché arrivò la chiamata del Bellinzona; fu Calleri, che era stato mio presidente al Torino, a contattarmi. Ci laureammo campioni per due stagioni consecutive, grazie alla doppia vittoria del campionato di Serie B e C. In B ci qualificammo ai play-off, ma non riuscimmo a salire. Calleri poi si era disimpegnò ma io rimasi per altri due anni sulla panchina del Bellinzona. La stagione successiva allenai il Winterthur, sempre nella B svizzera. Non sapevo una parola di tedesco, allora iniziai a masticare un po' di lingue, ma la loro mentalità è completamente diversa dalla nostra latina. Nell'estate 2004 accettai l'offerta Neuchatel, che militava nella massima divisione. Rimasi fino alla primavera successiva ed eravamo secondi in classifica, poi tornai in B. Questa volta al Sion, che aveva e ha tutt'ora un grande presidente come Constantin. La mia era una missione impossibile, perché in dodici giornate bisognava recuperare quattordici punti a due squadre; alla fine non riuscimmo a ottenere la promozione in A, ma solamente per un discorso legato alla differenza reti. Restai al Sion anche la stagione successiva, ma dopo dodici partite tornai in Italia, a Cremona. La Cremonese, all'undicesima giornata di Serie B, era all'ultimo posto in graduatoria. Abbiamo cullato il sogno salvezza fino a sei giornate dalla fine del campionato, poi la sconfitta esterna con il Modena ci condannò alla retrocessione. Fu comunque un'esperienza interessante perché ritrovai una mentalità diversa da quella svizzera. Nelle tre stagioni successive tornai in Svizzera; allenai per due anni il Lugano in B e per un anno il Chiasso in C, con cui raggiungemmo la promozione diretta”.

E nel 2000 è stato uno dei candidati per la panchina della Svizzera...
Sì in quel momento lì nacque questa possibilità. Io e i vertici della federcalcio svizzera ci eravamo incontrati raggiungendo un accordo, però io avevo un contratto di tre anni con il Bellinzona. Ero ovviamente riconoscente ai dirigenti del club che avevano creduto in me e non mi sembrava corretto accettare la proposta della federazione. Avevo chiesto di poter ricoprire entrambi gli incarichi e potevamo farcela a gestire entrambi le cose, ma per loro non era possibile. Così non se ne fece più nulla”.

Veniamo ai giorni nostri. Che esperienze sono state quelle in Ungheria e Algeria?
Nel 2009 andai al Vasas, in Ungheria. Era impensabile apprendere la lingua, quindi lavoravo con i ragazzi parlando in inglese, tedesco, francese e poco ungherese, ma il messaggio nello spogliatoio passava in maniera incredibile. In Ungheria sotto il profilo atletico-fisico sono dei grandi giocatori e c'è una buona scuola per quanto riguarda la tattica, ma ci sono molte problematiche con il lato tecnico. E' stata un'esperienza molto bella, con un presidente incredibile e serissimo, un ex tennista che aveva anche partecipato alle Olimpiadi. Poi ci furono delle partite strane, ma io ho saputo solamente un anno più tardi cosa stava accadendo; mi ha dato fastidio perché non siamo riusciti a capire cosa succedeva né io né il mio secondo. Ad un anno di distanza furono arrestati alcuni giocatori per calcioscommesse. Al mio secondo anno, ad ottobre 2010, il presidente mi chiamò dicendomi che non poteva più tenermi per problemi economici. Una volta tornato a casa, venne fuori l'occasione con l'ES Setif, club pluricampione d'Algeria. Firmai un contratto della durata di diciotto mesi e nell'accordo c'era anche una clausola: se io avessi abbandonato il mio incarico prima della scadenza avrei dovuto pagare una cifra incredibile. Tra campionato e Champions League africana, giocavamo ogni tre giorni e si accavallarono partite, ma la squadra era abituata a quei ritmi. Ci definirono il Barcellona d'Africa per il bel calcio che praticavamo. In campionato vincemmo sei partite di fila, poi incappammo in due pareggi ed una sconfitta”.

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