9 settembre 2013

Pavanello: "Bari-Montemurro, non è finita. Juve e Udinese esempi da seguire"

Campagna acquisti a parte, a tenere vigili i tifosi del Bari quest'estate ci ha pensato la lunga trattativa per la cessione della società. Ma i Matarrese non sono riusciti a trovare l'accordo con Paolo Montemurro, imprenditore barese interessato all'acquisizione del club. Almeno per il momento. Sì perché non è ancora calato definitivamente il sipario, come ci ha raccontato Luigi Massimo Pavanello, intervistato in esclusiva. Pavanello, consulente di mercato per un importante fondo di investimento, è un esperto in materia e ha seguito passo per passo la vicenda.

Signor Pavanello, perché non è andata a buon fine la negoziazione tra i Matarrese e Montemurro?
«Quando ho conosciuto Paolo Montemurro l'ho subito tenuto in grande considerazione perché è un imprenditore con idee molto chiare che voleva portare avanti, insieme al suo socio Luigi Rapullino. Nei mesi scorsi il contatto è stato quasi giornaliero e ci si confrontava molto sulla questione; evidentemente le problematiche incontrate lungo il percorso non erano una normalità per loro, mentre per me rafforzavano la consapevolezza che in Italia questo tipo di trattative riserva molte insidie. La situazione non è mai chiara e trasparente come accade, per esempio, in Inghilterra e Germania dove il passaggio di proprietà è un intervento di maggior valore. La trattativa è andata avanti per diverso tempo e poi è venuta meno perché, oltre alla situazione in rosso del bilancio, è emersa una situazione debitoria nei confronti dell'Agenzia delle Entrate. Ciò condiziona molto la fase di acquisizione e non è un cavillo da poco, anzi è un nodo abbastanza importante. In realtà bisognerebbe capire se i Matarrese stiano cercando investitori che si affianchino a loro o se vogliano cedere il club che guidano da una vita».

Dunque la pista non è tramontata del tutto?
«La speranza è che Montemurro possa riuscire, tramite una serie di sinergie, a riaprire un tavolo che sia costruttivo e molto chiaro, ma anche rapido. Perché l'acquisizione dovrebbe concretizzarsi al massimo entro i primi di ottobre, altrimenti sarebbe inutile continuare a riscaldare questa minestra. Ma la possibilità è ancora aperta. Paolo è una persona molto disponibile e aperta al dialogo e, essendo barese e vivendo la città, respira un'aria favorevole a lui. Mi sono permesso di consigliargli di insistere, perché Bari, oltre ad essere una società di grande tradizione, è una delle realtà più grandi del Sud insieme a Napoli e Palermo. Tutto ciò rappresenta una possibilità di sviluppo sia per la città sia per l'AS Bari, che merita una categoria superiore per tifoseria, bacino di utenza, e dimensione della città. Purtroppo, però, non è facile».

A questo proposito, qual è la differenza tra l'Italia ed altri paesi europei?
«La grande differenza è dovuta sostanzialmente al fatto che i nostri club non hanno uno stadio di proprietà, eccezion fatta per la Juventus e per l'Udinese che presto lo avrà. Ma le società italiane, tolte le big, sono prive di un asset. C'è una forbice molto ampia tra i primi top club e quelli che lottano dalla sesta posizione in giù; la Serie A paga il fatto che, oltre ai diritti televisivi che sono la linfa vitale per tutti i club, tutte le altre voci in entrata, come stadio, marketing, merchandising e settore commerciale, non hanno paragone rispetto ad altri paesi. Questo è frutto anche di un processo culturale più sviluppato. Ci sono margini di miglioramento per questi valori, ma ad oggi i club italiani sono molto sbilanciati».

Allora cosa si può fare per migliorare questa situazione?
«L'idea è quella che gli impianti diventino la priorità principale delle società. Qui deve intervenire la politica e lo Stato deve fare la sua parte con una legge seria che permetta di fare programmi a lungo termine. Poi, come avviene da altre parti, i club devono avere le loro “case” a partire dai campi e dalla sede ufficiale fino a tutte quelle attività annesse che creano aggregazione e un indirizzo comune».

Quindi bisogna seguire la via indicata da Juve e Udinese.
«Sì, bisogna seguire gli esempi di Juventus e Udinese. La gestione di quest'ultima, non solo dal punto di vista tecnico, deve essere presa come faro. Udine non è una città da grandi numeri come bacino di utenza, ma l'Udinese sta cercando tifosi in altre zone; la Slovenia è vicina a loro e non è detto che non possano fidelizzare tifosi in quell'area. Le squadre inglesi hanno molto più seguito e i numeri lo dimostrano. Ad esempio, prima dell'estate il Fulham è stato venduto a cifre impensabili e non è uno dei primi club di Premier League. Mentre le società italiane sono in vendita a cifre basse, basti pensare al Bologna. Con una città così prestigiosa ed importante viene difficile pensare che non ci siano nel tessuto cittadino degli imprenditori interessati...».

Lei ha citato due club come esempio, ma se invece dovesse citare due persone?
«Recentemente ho avuto modo di conoscere Andrea Abodi. Il presidente della Lega Serie B ha idee estremamente chiare e soprattutto la capacità per dare rinnovamento al campionato di B, dimostrandolo nelle ultime stagioni. Il problema è che, guardando negli ultimi tabellini il numero degli spettatori, c'è da mettersi le mani nei capelli. E vedere gli stadi vuoti è una delle cose più brutte. Poi citerei Maurizio Zamparini, con il quale ho un ottimo rapporto e che ritengo un imprenditore molto capace. Purtroppo sta incontrando delle difficoltà con la questione del nuovo stadio per problemi burocratici, ma Palermo merita di essere una piazza da Serie A».

Nessun commento: